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lunedì 30 ottobre 2023

Rasputin: veggente o mistificatore?

 

 

 

Pokrovskoe, Siberia occidentale, un insediamento mediamente ricco per quei tempi nella Russia zarista. In quel luogo, in una isba di otto stanze, viveva la famiglia Rasputin, proprietaria di alcuni ettari di terra, di mucche e cavalli. Il padre, oltre all'agricoltore, faceva anche il vetturale con il proprio carro. In questo luogo e in questa famiglia agiata, in data controversa tra il 1864 e il 1869, venne al mondo il 10 gennaio Grigorij Rasputin, nome dato in onore di S. Gregorio di Nissa, che si festeggia quel giorno.

Il cognome era invece un distintivo familiare, anche piuttosto comune nella zona, la cui derivazione non è chiara come si vorrebbe far credere. Infatti, anche il nonno aveva lo stesso cognome, e la radice di Rasputin ha diversi significati oltre a “depravato” come racconta la vulgata classica. Il padre, Efrim, considerava inutile l'educazione dei figli, Grigorij ha un fratello maggiore di due anni e pensa che impareranno di più dalla vita che consumando il fondo dei pantaloni sui banchi di scuola.

 

La vita prima della fama

 

L'educazione scolastica non era obbligatoria e d'altronde la chiesa la ostacolava, soprattutto se indirizzata verso dei Muzik”, meno capivano meglio era! (Nihil sub sole novum).

La campagna era la loro scuola, la taiga con i suoi spazi, la foresta, gli animali, il tutto vissuto all'interno delle superstizioni e tradizioni della chiesa ortodossa locale.

Pokrovskoe era un piccola comunità ai margini dell'universo abitato, poco lontana dal Kazakistan, e l'esistenza di grandi città come Mosca o S. Pietroburgo era quasi un sogno collettivo. Le grandi città erano sì lontane da un punto di vista chilometrico, ma lo erano soprattutto nella visione quotidiana della vita.

Nessuno in quel luogo sperduto era mai stato perseguitato, nessuno aveva conosciuto la schiavitù; si trattava di una zona protetta dagli Urali dove la cosiddetta civiltà, con i suoi misfatti, era solo un sentore lontano. In questa società intrisa di superstizioni contadine e di retorica cristiana ortodossa, avvenne il primo portento nella vita di Grigorij Rasputin.




 

La profezia

Un giorno, mentre giocavano sulle rive del fiume Tura, i due fratelli caddero in acqua. Non era periodo per i bagni ed entrambi, pur salvandosi dalle acque gelide, si ammalarono di polmonite.

Uno degli svantaggi di abitare in luoghi così veri, ma di conseguenza lontani dalla cosiddetta civiltà, era la mancanza di un medico raggiungibile in poco tempo. Dopo poco il fratello maggiore morì, mentre Grigorij si dibatté nell'abbraccio della morte per alcune settimane. Quando oramai si attendeva la sua dipartita come una liberazione dalla sofferenza, lui si sedette sul letto, arrotolato nelle coperte, e con voce fioca appena percettibile disse: “Sì, oh sì, lo voglio lo voglio.” Poi ricadde sul cuscino e si addormenta con aria placida.

Al suo risveglio sorrise ai genitori e a tutti gli abitanti del paese, che per settimane si erano radunati in preghiera dentro e fuori dalla sua casa. Si riprese sorprendentemente in fretta e, quando interrogato sul perché delle sue parole dal prete del villaggio, raccontò che una bella signora vestita di azzurro e bianco gli era apparsa in sogno e ordinandogli di guarire. Naturalmente, chi era lui per rifiutarsi? Il pope, presa la palla al balzo, sentenziò che la Vergine Maria aveva salvato il bambino per destinarlo a un glorioso destino e aggiunse: “Un giorno tornerà per dirti cosa si aspetta da te”.

Questa profezia scavò nelle viscere del giovane Rasputin, che cominciò a chiedersi perché la Santa Vergine avesse portato con sé il fratello lasciandolo solo e, soprattutto, perché non si fosse ancora rivelata per annunciargli il suo destino. Ne parlò con gli animali che accudiva, convinto che lo ascoltassero, ne discuté con se stesso, poi avvenne il secondo prodigio che avvalorò la profezia.

Rubarono dei cavalli a un suo vicino e lui, senza esitazione, indicò il luogo in cui erano tenuti e chi li aveva rubati. Questa manifestazione di veggenza si palesò altre volte e anche per altre questioni. Così, la profezia rinforzata dalle visioni fece accrescere la sua fama nella regione.

Le visite alla isba degli starec (monaci vagabondi) divenne quasi d'obbligo e il giovane Rasputin si sentì sempre più attratto dalla vita e dai racconti di quegli uomini solitari e apparentemente miserabili, che vivevano dell'elemosina del popolo e dei potenti.

Rimase affascinato dai loro racconti, dai monasteri che avevano visitato, dei santi eremiti con cui avevano digiunato per servire il Cristo, delle città che avevano vissuto dove dilagava la corruzione delle anime e dei corpi.

La profezia e le sue doti di veggente l'avevano convinto di non aver bisogno di nessuna istruzione per fare quel tipo di vita, perché proprio per quei motivi lui possedeva una scienza che gli era stata infusa dall'Altissimo.

 

Il pellegrinaggio

A 19 anni, con il permesso del padre e in preda a una crisi mistica, partì insieme a uno di questi starec, per poi continuare il suo pellegrinaggio da solo visitando eremi, santuari e monasteri della sua regione.

A una festa del monastero di Abalatsk la sua fede nella penitenza vacillò per la prima volta, lì conobbe la sua futura moglie, la sposò e come da tradizione la portò a casa. La sua vita di vagabondaggio da santone veggente proseguì, con il ritorno a casa nella stagione del raccolto.

Quando finalmente si sentì benedetto da Dio per la nascita di un figlio, ecco che la tragedia che cambierà la sua vita si abbatté su di lui: il neonato di sei mesi muore.

Questo immane lutto, ingiusto secondo lui visto il suo prodigarsi per la fede, lo condusse alla ribellione nei confronti del padreterno, si convertì all’alcool, alle donne e alle ruberie, fino a quando venne bandito dal villaggio.

Se ne andò dal paese quasi sollevato, senza collera, ricominciando i suoi vagabondaggi di preghiera, fino a quando incontrò un asceta, lo starec Makarij, e di nuovo la sua vita cambiò. Il sant'uomo lo istruì sulle scritture, ma soprattutto risvegliò il suo animo credente. Quando tornò a casa era un altro uomo.




 

Una nuova vita

Lo sguardo magnetico e sognante, la frenesia dei gesti e della preghiera, il battere sul petto intonando cantici sacri, lo posero in uno stato di irrequietezza che lo portò di nuovo al vagabondaggio religioso.

D'altronde, l'asceta Makarij gli aveva vaticinato che avrebbe trovato la salvezza nel vagabondaggio e così fece.

La sua irrefrenabile ricerca lo porterà sempre più lontano, fino al monte Athos in Grecia, e tornato in Russia visitò tutti i luoghi santi portando la sua fede e la sua veggenza, ritornando sempre a casa nel periodo estivo per partecipare ai lavori agricoli della comunità.

In questo periodo ebbe tre figli, Dimitrij, Matryona e Varvara nel 1900. Ma ciò che contava per Rasputin era solo diffondere la “luminosa certezza che dimora in lui”. Perciò, confortato dalla fama di veggente e guaritore, decise di mettersi in proprio. Prese in affitto una casa e la trasformò nella sua chiesa.

Le sue adunanze, che seguivano un rito “chlysty”, divennero sempre più affollate. Le riunioni si svolgevano anche alle terme, dove da flagellazioni leggere per stimolare la circolazione si passava a danze circolari e canti parossistici che sfociavano in vere e proprie orge.

La teoria era che il peccato andasse distrutto e redento attraverso il peccato, umiliandosi nel fango del peccato ci si elevava a Dio. La soddisfazione erotica rappresentava solamente un passaggio dall'umiliazione alla redenzione. Naturalmente, sia la Chiesa che lo Stato non approvarono e dopo vari processi Rasputin fu allontanato.

 

Dal popolo all’aristocrazia

Ora che abbiamo inquadrato l'ambiente culturale in cui operava la ricerca spirituale di Rasputin, non dobbiamo pensare che tutto ciò riguardasse solo il basso popolo. La sua fama di veggente e guaritore era oramai diffusa, fino ad arrivare attraverso varie avventure alla corte dello stesso zar, dove divenne in poco tempo, grazie alla zarina, l'eminenza grigia della corte.

Introdotto in quell'ambiente, ai massimi livelli dell'aristocrazia, operò guarigioni e vaticinii portentosi, fino a quello che lo consacrò al mondo europeo.

Il 2 ottobre 1912 lo zarevic Alessio, figlio di Nicola II e nato emofilico, ebbe un incidente che peggiorò improvvisamente senza che i medici accorsi al suo capezzale riuscissero a porvi rimedio. Una grave emorragia interna iliaca e lombare sembrava non lasciare scampo al giovane Alessio. Venne dunque convocato un famoso chirurgo ma per paura che l'ematoma peggiorasse la sua emofilia non lo operò. Il 10 ottobre il bambino ricevé la sacra unzione e sul punto di perdere conoscenza sussurrò alla madre:

Quando sarò morto innalzate per me un piccolo monumento nel parco!”

Abbandonata dai medici e dai sacerdoti, la zarina telegrafò a Rasputin: “Medici disperano, le vostre preghiere sono la nostra unica speranza”.

Rasputin ricevé il telegramma il giorno stesso, mentre pranzava insieme alla famiglia. Si alzò da tavola e invitò la figlia Matryona (chiamata Marija) a seguirlo nel salone, dove erano esposte le icone più sacre.

Lì, alla sua presenza, eseguirà un rito di guarigione che lui stesso definì:

“Il più difficile e misterioso di tutti i riti”.

 

Rasputin eseguì una magia telepatica, chiamata transfert del dolore e dalla malattia, una vera e propria pratica sciamanica appresa nei suoi pellegrinaggi giovanili presso i Buriati, gli Jacuti e i Kirghisi, ma arricchita e sommata per intero alla sua fede ortodossa.

Si tratta di liberare il bimbo dalla malattia prendendola su di sé agli occhi di Dio. È così che agiscono gli sciamani quando vogliono guarire un malato dalle sue sofferenze, che siano fisiche o dell'anima. Si sostituiscono a lui con il pensiero, si fanno carico del suo supplizio sostituendosi al suo “Io”, per poi restituirglielo a guarigione avvenuta.

E così fece. La figlia riferì di averlo visto prostrarsi a terra con il volto trasfigurato dall'estasi, ansimante e in preda a una sofferenza sovrannaturale. A certo punto, riferì sempre Marija, cadde all'indietro contorcendosi come se fosse in preda all'agonia e pensò che stesse per morire. Quando l'agonia finì era sera, gli offrì un tè, lui lo bevve sorridente e tornò in sé.

Alla fine di questa stregoneria mistico cristiana e pagana, telegrafò alla zarina:

La malattia non è grave come sembra.
Che i medici non lo facciano soffrire.”

 

Il giorno successivo, la febbre cominciò a calare e il grande ematoma a riassorbirsi, mentre l'emorragia si era fermata. Naturalmente, come sempre succede con qualsiasi scienza ufficiale, fu solo una coincidenza. Ricordiamo che il malato aveva già ricevuto l'estrema unzione: dopo c'è solo la morte. Oppure, in sub-ordine, avendo la zarina smesso di preoccuparsi dopo il telegramma di Rasputin, era venuta meno la tensione che impediva al ragazzo di guarire.

Così, sotto la protezione dello zar, Rasputin tornò in pompa magna a corte, ma né la Chiesa né le corporazioni che lo vedevano come un rivale smisero di contrastarlo.

Rasputin fu devoto a se stesso e allo zar fino alla morte.

 

 

Contenuto preparato in collaborazione con

BRAN

 

 

 

lunedì 23 ottobre 2023

Cagliostro e i misteri alchemici

 


 

“Tutti sanno che inizialmente Parigi era chiusa nell'isola (ÃŽle de la Cité). Fin dalle sue origini, dunque, fu una città di naviganti. Poiché era situata su un fiume di grande scorrimento, prese come simbolo una barca, e come divinità protettrice Iside, dea della navigazione; la barca era dunque effettivamente quella di Iside, simbolo della dea.

 

(Court De Gebelin,
Monde Primitif analysé et comparé avec le Monde Moderne, Parigi 1773)


Nell'estate del 1460, il monaco Leonardo da Pistoia entrava a Firenze per recarsi dal suo mentore Cosimo de' Medici, signore della città. Leonardo girava per l'Europa alla ricerca di manoscritti rari e antichi da comprare per il suo signore, in particolare ne cercava alcuni rarissimi perché censurati da oltre 1000 anni dalla Chiesa.

Cosimo de’ Medici era convinto che, da qualche parte, i testi fossero stati salvati dalla furia della Chiesa e Leonardo era incaricato di trovarli a qualsiasi costo. E questa volta il monaco aveva trovato quello che il suo signore cercava da tempo.

 

Testi sfuggiti alla censura

Tornava con una raccolta di scritti che riportavano la sapienza di Toth, dio della saggezza presso gli Egizi, noto ai Greci come Ermete Trismegisto. Erano testi “ermetici”, scritti ad Alessandria durante i primi tre secoli dell'era cristiana, praticamente nello stesso luogo e medesimo periodo in cui furono scritti i testi “gnostici” di Nag Hammadi.

Per capire quanto fosse stretto il legame tra le due raccolte, pensiamo che una parte, un documento noto come Asclepio, si trovava in ambedue gli scritti. Nel 391 d.C. il vescovo di Alessandria fece bruciare la biblioteca, insieme ai pagani che vi si trovavano dentro. Si tratta di persecuzioni che continuarono nel tempo, con lo scopo preciso di eliminare qualsiasi tradizione, (anche cristiana come i catari) che non fosse completamente allineata con i codici stabiliti dalla Chiesa cattolica. Tra le altre accademie chiuse e ostracizzate dalla Chiesa nel 529 d.C. ci fu anche quella platonica di Atene con le sue diramazioni in Sicilia, a Roma e Alessandria.

 

Scritti pericolosi

Ricordiamo che gli scritti di Nag Hammadi furono riscoperti nel 1945. Ora, cosa avevano di così pericoloso questi scritti ermetici, gnostici e platonici? Per dirla con Platone Soma Sema, ovvero: “Il corpo è una tomba.” Un concetto che appare simile in tutte e tre le scritture.

In Platone, il Demiurgo non è nient'altro che l'artigiano che fabbrica le forme terrene a immagine di quelle divine: quindi solo copie imperfette e corrotte.

Da qui si evince che il Demiurgo era il creatore del mondo materiale, ma non era dio, era un semplice esecutore. Nelle dottrine gnostiche ed ermetiche, il corpo materiale è creato da entità “malvagie” che regnano sulla Terra, mentre la parte spirituale è infusa da dio, la nostra parte divina che vorrebbe tornare solo spirito. E qui infuria la lotta tra le due parti, una che vuole che le anime si reincarnino qui per non perdere il loro potere, l'altra che cerca di riportarle nel mondo dello spirito, in  un mitico paradiso. Questa differenza su come intendere la vita, e l'eventuale trapasso, è stata causa di secoli di persecuzioni e stragi.

 

Cagliostro e fra chiacchiere e realtà

Questo breve riassunto del retroterra storico ci porta ai tempi di Cagliostro, tempi in cui la magia dell'Egitto e delle sue tradizioni esoteriche era il substrato della società aristocratica dell'epoca, ma non solo. Il rispetto del popolo per alcuni luoghi di culto pagano, per le rovine di antichi templi, addirittura per frammenti di statue conservate gelosamente, costrinse i sacerdoti cristiani a costruire le loro chiese su luoghi in cui erano sorti edifici pagani.

Per alcuni secoli, per attirare il popolo, si discusse se divinità minori potessero essere assimilate a spiriti elementali, in maniera che si potesse continuarne l'adorazione senza conseguenze. Sappiamo che nel XI secolo le mogli dei battellieri ancora pregavano Iside, la cui effige era esposta in S. Germain Des Prés fino a quando l'arcivescovo di Parigi la fece distruggere e gettare nella Senna.

Ecco che in questa società, intrisa di misticismo ermetico-gnostico e di simbolismo massonico, irrompe anche il conte di Saint Germain. Come sempre, le testimonianze sono discordi e si tratta di una figura evanescente e molto misteriosa. Alcuni lo considerano un ciarlatano, altri una delle figure più intriganti ed enigmatiche dell'occultismo e dell'alchimia. Se ti interessano questi temi, leggi anche gli articoli “5 occultisti famosi da scoprire” e “Alchimia: cos’è? Storia e curiosità”.

Uomo di grande cultura e disponibilità finanziarie, il conte Saint Germain suonava e cantava divinamente ed era a conoscenza di fatti accaduti in diversi passati, semplicemente perché li aveva visti personalmente, almeno così diceva. Tra i numerosi aneddoti si racconta che Giacomo Casanova, trovandosi a Venezia in missione diplomatica insieme a lui, lo descriveva come un uomo straordinario, che conosce i segreti della medicina universale e che padroneggia le forze della natura.

Conosceva l'arte della pulitura dei diamanti, come dimostrato allo stesso re di Francia, tanto che dopo la sua dimostrazione il re gli mise a disposizione un intero laboratorio completamente attrezzato. Molti affermavano che fosse solo un imbroglione, ma i suoi esperimenti nel tingere la seta e il cuoio di qualsiasi colore ebbero successo, come riferisce il ministro Olandese Coblenz.

Lo stesso vale per la vendita del suo elisir, lo stesso, così diceva, che gli aveva permesso di attraversare i secoli così a lungo e in salute.

Saint Germain e Cagliostro si incontrarono in Germania, più precisamente nello Schleswig-Holstein, dove Cagliostro ne divenne discepolo e fu elevato al titolo di mistico.

Da Saint Germain ebbe modo di vedere il famoso specchio che evocava le anime, prodigio in cui Luigi XV poté vedere il destino dei suoi figli, in particolare la morte del Delfino che veniva decapitato. Lo studio e l'applicazione dei principi alchemici alla medicina lo resero famoso guaritore in tutta l'Europa che contava a quei tempi.

Come avviene da sempre, i luminari del tempo cercavano in ogni modo di screditarlo. La frequentazione dell'alta società nobiliare lo mise a contatto con la massoneria, che sotto la parvenza di cristianità operava attraverso riti pagani vecchi di millenni. A quel punto, famoso e introdotto, Cagliostro decise di creare una propria loggia massonica di rito egizio. A questo proposito, recupera l’articolo “Cosa significa esoterismo? Scopriamo il vero significato”.




 

Riti segreti

Tra i numerosi prodigi che Cagliostro operava nelle riunioni della propria loggia c'era la divinazione, chiamata “La chiaroveggenza delle Pupille”. Come possiamo constatare nei verbali del processo a Cagliostro da parte dell'autorità ecclesiastica, il S. Uffizio se ne preoccupava molto, tanto più che risultava evidente dalle testimonianze che i fatti riportati erano genuini e che non era possibile spiegarli se non ricorrendo alla solita presenza demoniaca, impossibile da confutare se invocata dai funzionari ecclesiastici.

La divinazione avveniva attraverso le pupille o colombe, come venivano chiamati i fanciulli tra i sei e gli otto anni, che venivano interrogati da chi voleva delle visioni future, o voleva parlare con i propri cari defunti. Nello stesso processo si ricordò che il Duca di Orleans portò a sorpresa un fanciullo, sospettando che Cagliostro addestrasse i suoi pupilli, ma quando il piccolo rispose alle sue domande rimase esterrefatto, tanto da considerarlo un uomo soprannaturale. Il tribunale interrogò la moglie di Cagliostro, colei che l'aveva denunciato, in qualità di testimone chiedendole come facesse. Lei ripose dicendo:

Che avendo fatto a volte in Loggia travagliare anche me, mi ha detto più volte che ero troppo timida, e non bastantemente forte perché me ne comunicasse il segreto, dal che, arguii, che ci fosse qualche diavolo”.

Ovviamente bastò nominare il diavolo e tutto era risolto.

La verità dunque è questa: fenomeni così genuini, indiscutibili e meravigliosi che Lorenza, la moglie accusatrice, per spiegarseli doveva supporre una preventiva istruzione di pupilli e colombe alla quale lei comunque non aveva assistito, oppure sospettare ed arguire l’intervento del solito provvidenziale demonio, onnipotente come e quanto Iddio, e sempre così caritatevole da trarre dall’imbarazzo i buoni cristiani.

 

La fine di Cagliostro

Prima di essere processato a Roma, Cagliostro per un certo periodo esercitò la professione medica a Rovereto, dove abbiamo centinaia di testimonianze di persone guarite da Cagliostro con metodi naturali, forse imparati da S. Germain.

Arrivava gente da ogni dove creando grande malumore tra i medici, fino a quando intervenne l'Inquisizione. Cagliostro morì nella rocca di S. Leo nel Montefeltro, nella cella del pozzetto dopo quattro anni di torture. Rimane tutt’ora un mistero il luogo della sua sepoltura.

Oggi come allora e come nella notte dei tempi, chi regola la vita e la morte è sempre l'Inquisizione, quale che sia la forma che assume a seconda dei tempi e delle necessità.

 

Fiori in mano,

magia dei sognatori:

occhi nel mondo.

 

Tutto come allora,

ciò che sepolto vive.

 

Contenuto preparato in collaborazione con

BRAN

 

 

 

lunedì 16 ottobre 2023

Gustavo Rol e lo spirito del Divino


 

 

Un moderno sciamano, oppure semplicemente un uomo che aveva imparato a esercitare i propri poteri? Dopo l'affermazione di Friedrich Nietzsche in cui si diceva che dio è morto, Gustavo Rol potrebbe rappresentare l'archetipo dell'uomo nuovo di cui parlava Zarathustra. Un uomo che attraverso il superamento della sua attuale condizione, si liberava dalle catene dell'asservimento al divino per divenire egli stesso signore di se stesso.

“Dio è ovunque, anche dentro di noi e noi siamo parte di Dio.”

Così affermava Rol. Un'affermazione che ci porta a pensare che noi facciamo parte di un tutto che ci circonda e che nello stesso tempo ci crea, come noi partecipiamo alla sua creazione. Visto da questa prospettiva, il primo passo è renderci conto di quelle che sono le nostre potenzialità; il passo successivo è capire come esprimerle. In virtù di ciò, probabilmente, la strada da intraprendere è legata alla smaterializzazione della nostra vita, scrollandoci di dosso tutta la serie di interessi personali che collidono con lo sviluppo della nostra spiritualità. A questo proposito, è consigliata la lettura dell’articolo Multiverso, rappresentazione e stregoneria”.

 

Condurre e manipolare l’energia

Il dott. Rol, plurilaureato in giurisprudenza, economia e biologia, si considerava come un conduttore energetico, un collegamento con l'energia dell'universo. Infatti, definiva se stesso come una “grondaia”, che convogliando l'acqua che cade sul tetto la incanala indirizzandone la forza.

La sua concezione del legame che accomuna ognuno di noi con il mondo che ci circonda e di cui facciamo parte è la presenza dello spirito. La sua concezione di spirito è essenzialmente diversa da come siamo abituati a sentircela spiegare. Infatti, Rol sostiene che essendo ogni oggetto che ci circonda creato per svolgere una determinata funzione, anche quando questo oggetto non esiste più, qualsiasi ne sia il motivo, il suo spirito continua ad aleggiare intorno e dentro di noi. Possiamo quindi tranquillamente chiamarla la teoria dello “spirito intelligente,” una specie di: funzione=spirito dell'oggetto. Questo spirito sarebbe la conseguenza della manipolazione subita dall'oggetto nelle diverse fasi della sua presenza: in un primo momento quando viene pensato, disegnato per svolgere una determinata funzione e, in seguito, modellato e costruito. Si tratta di tutta una serie di fasi in cui si accumulano gli spiriti delle persone che l'hanno pensato, poi di quelle che l'hanno costruito e non solo. Si intreccia anche con gli spiriti delle attrezzature e delle macchine usate per la sua costruzione.




 

Lo spirito intelligente

Quindi, lo spirito proprio di un oggetto non è altro che la somma di quelli che hanno contribuito alla sua nascita e uso. In virtù di questa vita, che per intenderci potremmo definire virtuale, tutto ciò che ci circonda acquisisce una sorta di consistenza e, anche quando termina la sua funzione, mantiene un che di reale nella nostra vita. Seguendo questa concezione ne consegue che, se c'è uno spirito delle cose, a maggior ragione ci sarà negli animali e soprattutto nell'uomo, dove acquisirà l'accezione di “spirito intelligente”.

Potremmo dunque dire che siamo parte di un grande spirito che ci identifica e che nello stesso tempo ci circonda. Quando nasciamo, lo spirito di coloro che ci hanno preceduti vive con noi, portando con sé quell'esperienza ancestrale, quell'istintuale bene o male che mettiamo nelle nostre scelte ogni giorno.

 

“La morte è la fine di una vita materiale, e il principio di un’altra. Nessuna cosa comincia se non da un’altra che finisce, quindi tutto ciò che finisce genera altre cose.

Allora la morte non è la fine di nulla, né il principio di nulla, non esiste; trattasi di un semplice avvenimento transitorio, non mai definitivo, sinonimo di movimento e di continuità.

 

Così terminava un pensiero Rol, è come se dicesse che nello “spirito intelligente” non esistono un prima o un dopo e che tutte le esistenze sono concatenate e consequenziali, per cui il passato non è altro che lo specchio del futuro. Non possiamo però dimenticare che il nostro futuro possiamo modellarlo, al di là del nostro carattere innato, attraverso piccoli o grandi cambiamenti drastici.

Un esempio banale: nella nostra vita abbiamo sempre utilizzato l'automobile, quindi sappiamo che nel nostro futuro ci sarà ancora. Se per qualsiasi motivo, che sia ideologico o pratico, decidiamo che non useremo più l'auto, ecco che avremo cambiato il nostro futuro togliendo semplicemente un tassello dal nostro passato.

 

Aura, spirito e vibrazioni

L’esperienza di Rol è un fattore chiave anche nell’ideazione della serie di fantascienza cybernature Stargarden Universe! Se non sai che cos’è il cybernature, puoi scoprirlo subito sul sito ufficiale nell’articolo “Fantascienza italiana news: nasce il cybernature!”.



Il cybernature analizza la tensione, tipica dell’essere umano, tra la volontà di preservare la natura e il progresso verso una tecnologia sempre più totalizzante. Uno dei punti fondamentali è la connessione, che per la maggior parte della gente avviene tramite il dispositivo G-Connect creato dalla GEA (Global Ecological Administration)… mentre per una minoranza assume un significato spirituale che riprende in pieno i concetti espressi da Rol: essere parte di un tutto, co-creazione, esistenze interdipendenti e un ciclo energetico continuo.

La massima espressione spirituale della vera connessione si manifesta nella misteriosa zona occupata da Nuova Eden, in contrapposizione al lusso e alla tecnologia invasiva di Urbe Ancestralis. La storia segue tre punti di vista molto diversi fra loro: il protagonista Jo Jo Nishimura (pericoloso bio-hacker), Adela (edenita in missione all’Urbe) e i mercenari Dex e Mike (noti come Mad Bros).

ADELA pronta per una nuova missione segreta!

Se vuoi scoprire i segreti di Gaia, la Terra del futuro, inizia subito l’avventura col primo romanzo della serie: “Dark Ghost… disponibile su Amazon anche in versione cartacea illustrata e incluso nel catalogo di Kindle Unlimited!

 

Il principio di tutto

Tutto comincia con una grande delusione. Rol nel 1927 viveva a Marsiglia e durante una passeggiata si sentì attratto dalla vetrina di una tabaccheria. Esposta in bella vista c’era una scatola contenente due mazzi di carte, uno con il dorso verde e l'altro mostrava la prima carta e quindi il colore del retro era sconosciuto.

Immobile davanti alla vetrina, Rol sentiva il bisogno di sapere il colore dell'altro mazzo. Poi cominciò ad avere la sensazione di poterlo indovinare, percepiva chiaramente dentro di sé che avrebbe potuto farlo. Rotto ogni indugio, entrò nella tabaccheria e comprò la scatola facendola chiudere così com'era, perché a casa avrebbe dimostrato a se stesso di poter indovinare il colore dell'altro mazzo. Arrivato a casa, si sedette e mise la scatola su un tavolo. Poi si concentrò sulle carte e precisamente sul colore che doveva avere il secondo mazzo. Quando finalmente aprì la scatola, la sua delusione fu enorme, infatti il colore del secondo mazzo era nero, l'unico colore che non aveva mai pensato!

Per qualche settimana accantona le carte ma, dentro di sé, il verde che l'aveva attirato alla vetrina e che l'aveva portato a cercare di indovinare il colore dell'altro mazzo, non l'aveva mai abbandonato. Il Magical Magazine ha già parlato di Rol e del colore verde anche nell’articolo “La telecinesi esiste? Tutto quello che c’è da sapere”.

Così, Rol riprende le carte e comincia a esercitarsi a indovinarne il seme e i numeri, sempre con in mente il verde che caratterizzava il dorso di uno dei mazzi. Dopo alcuni mesi comincia a sentire la vibrazione di quel colore affine alla quinta nota musicale, elementi che messi insieme emanano per lui una sorta di calore.

“Furono giorni di grande bellezza e di ansietà insieme, di maturazione interiore, di speranza e consapevolezza che qualcosa di molto importante per me stava per succedere.”

Così ci dice Rol, che da allora comincia a vedere sempre di più i colori e i numeri delle carte, ma capisce anche che se vuole andare al di là delle statistiche e vedere tutto quello che c'è, deve affinare lo spirito. Da allora cambia completamente il suo modo di essere. Più il suo spirito si libera dalle sovrastrutture create dalla società, più la sua consapevolezza interiore cresce insieme alla fede in sé e allo spirito che vede attorno a lui.

 

Il risveglio dello spirito

Le carte sono diventate un gioco, uno scherzo da fare con gli amici, quello che ha acquisito è la capacita di leggere i pensieri, di vedere l'aura delle persone, che significa anche poterne leggere la salute.

Legge libri chiusi, dipinge senza pennelli, scriverà sul suo diario:

“Oggi, 28 luglio 1927, la mia ricerca è finita. Ho scoperto la legge che lega le vibrazioni del verde a quelle della quinta nota musicale e a certe vibrazioni termiche:

il segreto della coscienza sublime.”

 

Più avanti illustrava la coscienza sublime così:

“La coscienza sublime abbraccia le squisite intuizioni che, attraverso l'ordine e l'armonia, conducono l'uomo alla percezione della propria identità spirituale.”

 

Qui mi limiterò a raccontare un aneddoto che da sé ci fa capire quanto lo spirito intelligente ci circonda. Il 9 luglio del 1973 Rol riceve una telefonata e sente dall'altra parte la voce di una donna che dice pronto; a quel punto la ferma e le dice che lei indossa un camice bianco ed è dottore in farmacia. Poi continua in maniera colloquiale con il segno zodiacale, lei è del toro e ha due pregi che possono rivelarsi anche dei difetti, infatti è troppo buona e troppo impulsiva. Inoltre la invitò ad andare subito da lui perché ne aveva bisogno.

La persona che gli telefonò era Catterina Ferrari la farmacista di Carmagnola. Nel febbraio del 1982 suona alla porta di Rol e viene accolta con un: “Ce n'è voluto del tempo, ma era destino che ci incontrassimo.”

 

Gustavo Rol rimane uno dei personaggi più misteriosi del nostro tempo, una persona umile che non ha mai abusato delle sue straordinarie capacità, per altro documentate da Remo Lugli, da Dino Buzzati, da Albert Einstein… solo per citarne alcuni.

 

Il nulla tace,

fuori gira il mondo:

vedo e sento.

 

Colori della vita,

sillabe della morte.

 

Contenuto preparato in collaborazione con

BRAN

 

 

 

 

lunedì 9 ottobre 2023

Che cos’è il Sacro Graal? Una leggenda millenaria

 

 

Cosa contiene, chi l’ha trovato e dove viene conservato attualmente: tutte le informazioni sull’oggetto magico più famoso del mondo! 

 

C’è un manufatto che da secoli nutre l’immaginazione di scrittori, artisti, storici e appassionati di misteri: il Sacro Graal.

 

Si tratta di un oggetto legato alla tradizione cristiana e cavalleresca... Ma è davvero così o la sua leggenda è molto più antica? E dove si trova oggi? È possibile che sia ancora nascosto in qualche luogo segreto, in attesa di essere scoperto da un prode cavaliere?

 

In questo articolo ti racconterò la storia del Sacro Graal, dalle sue origini ancestrali fino ai giorni nostri. Se vuoi scoprire tutto sull’argomento, continua a leggere!

 

Graal: significato etimologico 

 

La parola “Graal” deriva dal latino medievale “gradalis, ovvero “vaso, recipiente”. Questo termine è entrato poi nel lessico francese, che lo ha trasformato in Graal.

 

 

 

Che cos’è il Sacro Graal? 

 

Secondo la versione più conosciuta della leggenda, è il calice (o, in alcune tradizioni, il piatto) usato da Gesù nell’Ultima Cena.

 

Ma cosa conteneva il Sacro Graal? Il sangue di Cristo, raccolto da Giuseppe d’Arimatea ponendo la coppa sotto la ferita al costato del suo maestro.

 

La leggenda di questo manufatto, le cui origini cristiane risalgono al Vangelo apocrifo di Nicodemo, ha dato origine a molte saghe medievali. La prima opera di narrativa che ne parla è “Perceval ou le conte du Graal” di Chrétien de Troyes, che risale al XII secolo.

In questa storia non viene spiegato né cosa sia esattamente il Graal, né che aspetto abbia. Sappiamo solo che è tenuto in mano da una damigella e che si tratta di un oggetto d’oro, tempestato di gemme preziose.

 

Perché si dice “Sacro” Graal? 

 

All’interno di “Perceval ou le conte du Graal”, dunque, il Graal non è ancora definito “Sacro”.

 

È stato Robert de Boron, nel suo “Roman de l’estoire dou Graal”, a spiegarci che si tratta del calice che Giuseppe di Arimatea usò per raccogliere le gocce di Sangue del Cristo crocifisso, sgorgate dalla piaga provocata dal centurione. A questo punto la coppa, contenendo il fluido divino, è diventata sacra.

 

Sacro Graal: la leggenda celtica 

 

Sono stati i poemi medievali a introdurre al grande pubblico europeo le vicende del Sacro Graal, legandole da un certo momento in poi alla figura di Gesù. Ma da dove proviene l’idea dell’eroe che parte all’avventura per cercare una coppa o un piatto dal fortissimo potere mistico?

 

L’origine si ritrova in numerose leggende pagane. La coppa dell’abbondanza della tradizione celtica e irlandese, in particolare, è un calice che non si svuota mai e può assumere anche la forma di un corno, di una sacca o di una ciotola, a seconda dei miti. È un simbolo del potere sovrano e della fertilità della terra, assimilabile alla cornucopia greco-romana.

Nello stesso filone si inserisce Il Calderone di Dagda, una larga pentola perennemente colma di cibo che appartiene al dio della guerra, della fertilità e della magia. Si tratta di uno dei quattro tesori che i Túatha Dé Danann (mitica popolazione della preistoria celtica) portano con sé in Irlanda.

Se le antiche leggende pagane ti appassionano, nel mio blog troverai una vasta gamma di contenuti a tema, che spaziano dalle rune allo sciamanesimo.

E se ami leggere romanzi, puoi dare un’occhiata alla trilogia “Le ombre di Dora”, ambientato in una dimensione in cui la magia è una realtà quotidiana. Inoltre, uno dei protagonisti è irlandese, particolare che aggiunge un tocco di autenticità all’atmosfera del libro. Se sei alla ricerca di un’esperienza magica e avvincente, non esitare a visitare la pagina Amazon del primo volume, “L’ombra del sole!

 



Il Sacro Graal e Maria Maddalena 

 

Nel libro “Il sacro Graal” di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, un successo editoriale del 1982 che ha ispirato numerosi altri testi (come il romanzo “Il codice da Vinci”), il sacro Graal sarebbe il “sang real”, cioè il sangue dei discendenti di Gesù. Non un oggetto fisico, quindi, ma un segreto a lungo celato nelle pieghe della storia.

 

Dopo la crocifissione, la Maddalena sarebbe scappata dalla Palestina con una barca insieme ad altre donne citate nei Vangeli e al figlio nato da Gesù. Sarebbe poi arrivata in Provenza e avrebbe seguito il corso del Rodano fino a raggiungere i Franchi, discendenti della tribù ebraica di Beniamino.

I Merovingi, primi re dei Franchi, secondo questa visione sono stati chiamati “re taumaturghi” proprio perché avevano il potere di curare i malati con il solo tocco delle mani, come il Gesù dei vangeli. Questa teoria si basa sulla famosa leggenda medievale dell’arrivo della Maddalena in Francia, diffusa da Jacopo da Varazze nella “Legenda Aurea”.

 



 

Il Sacro Graal e le crociate 

 

Alcune opere raccontano come il Graal fosse uno dei tesori da conquistare in Terra Santa. Vediamone due in particolare.

·      Jacopo da Varazze, nella già citata “Legenda Aurea”, narra che i genovesi trovarono il prezioso calice durante la prima Crociata (1099).

·      Nel romanzo tedesco del XIII secolo “Titurel il giovane”, si racconta di come una copia del Graal sia stata rubata dalla chiesa del Boucoleon durante la quarta crociata. Fu poi portata a Troyes da Garnier de Trainel, il decimo vescovo di Troyes, nel 1204. È rimasta a Troyes fino al 1610, ma sembra che sia poi scomparsa durante la Rivoluzione francese.

 

Chi proteggeva il Sacro Graal? 

 

Nel ciclo arturiano, i custodi del sacro manufatto erano i “Re del Graal”.

Il più famoso di loro è, senza dubbio, il cosiddetto Re Pescatore o Re Ferito.

 

Viene descritto in maniera differente da vari autori, ma tutti concordano sul fatto che abbia una menomazione alle gambe o ai genitali, che lo rende incapace di muoversi agevolmente. La sua lesione, spesso, rappresenta una punizione per i peccati commessi in passato. In alcune opere, viene stabilito un parallelo tra la ferita del Re Pescatore e quella subita da Cristo sulla croce, entrambe inflitte dalla leggendaria Lancia del Destino. La menomazione del custode si ripercuote anche sul suo regno, un luogo abbandonato noto come “La terra desolata” o “La terra guasta”.

 

Il Re trascorre la maggior parte del tempo a pescare in un fiume vicino al suo castello di Corbenic. Molti cavalieri erranti si recano dal lui per tentare di guarirlo, ma solo il prescelto destinato a trovare il Graal potrà farlo.

 

Chi trovò il Graal? 

 

Secondo il ciclo arturiano, il cavaliere che trovò il Sacro Graal fu Galahad, figlio di Lancillotto ed Elaine di Corbenic (figlia del Re Pescatore).

La sua storia è stata raccontata in diversi testi del ciclo arturiano, tra cui il poema francese “La Queste del Saint Graal” (La ricerca del Sacro Graal), scritto alla fine del XIII secolo, e “Le Morte d’Arthur” di Sir Thomas Malory, scritto nel XV secolo.

 

Secondo la leggenda, Galahad è stato scelto come il cavaliere perfetto, destinato a trovare il Sacro Graal grazie alla sua purezza morale. Durante la ricerca viene sottoposto a numerose prove e tentazioni, ma rimane sempre fedele alla missione, al contrario dei compagni di avventura. Come premio per la sua integrità, il Re Pescatore lo accoglie nel suo castello, dove gli consegna il calice.

Dopo aver visto il Graal, Galahad muore in pace e ascende in cielo con gli angeli, a testimonianza della sua santità.

 

Dove si trova oggi il Sacro Graal? 

 

Il sacro Graal esiste realmente? In molti ritengono di sì, e affermano che nella Cattedrale di Valencia c’è l’unico Graal ufficialmente riconosciuto dal Vaticano. Ma quanto c’è di vero in tutto ciò?

 


 

L’ipotesi è stata al centro di dibattiti e controversie tra gli storici e gli esperti della tradizione arturiana.

Alcuni studiosi sostengono che il “Calice di Valencia” è una reliquia cristiana autentica, risalente al I secolo e utilizzata per il culto eucaristico, ma che non ha alcun legame con il Graal. Altri, invece, mettono in dubbio l’autenticità della reliquia stessa e la paragonano a coppe simili, conservate in altre parti del mondo e fabbricate ad hoc per attirare turisti. Altri ancora... sono pronti a giurare che quello sia l’autentico Graal!

 

In ogni caso, la Chiesa cattolica non ha mai emesso una dichiarazione ufficiale sulla veridicità del “Calice di Valencia”: la questione rimane oggetto di discussione tra storici e appassionati di misteri.

 

Articolo scritto in collaborazione con

Ivana Vele Poletti

https://www.ivanapoletti.com/