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lunedì 30 ottobre 2023

Rasputin: veggente o mistificatore?

 

 

 

Pokrovskoe, Siberia occidentale, un insediamento mediamente ricco per quei tempi nella Russia zarista. In quel luogo, in una isba di otto stanze, viveva la famiglia Rasputin, proprietaria di alcuni ettari di terra, di mucche e cavalli. Il padre, oltre all'agricoltore, faceva anche il vetturale con il proprio carro. In questo luogo e in questa famiglia agiata, in data controversa tra il 1864 e il 1869, venne al mondo il 10 gennaio Grigorij Rasputin, nome dato in onore di S. Gregorio di Nissa, che si festeggia quel giorno.

Il cognome era invece un distintivo familiare, anche piuttosto comune nella zona, la cui derivazione non è chiara come si vorrebbe far credere. Infatti, anche il nonno aveva lo stesso cognome, e la radice di Rasputin ha diversi significati oltre a “depravato” come racconta la vulgata classica. Il padre, Efrim, considerava inutile l'educazione dei figli, Grigorij ha un fratello maggiore di due anni e pensa che impareranno di più dalla vita che consumando il fondo dei pantaloni sui banchi di scuola.

 

La vita prima della fama

 

L'educazione scolastica non era obbligatoria e d'altronde la chiesa la ostacolava, soprattutto se indirizzata verso dei Muzik”, meno capivano meglio era! (Nihil sub sole novum).

La campagna era la loro scuola, la taiga con i suoi spazi, la foresta, gli animali, il tutto vissuto all'interno delle superstizioni e tradizioni della chiesa ortodossa locale.

Pokrovskoe era un piccola comunità ai margini dell'universo abitato, poco lontana dal Kazakistan, e l'esistenza di grandi città come Mosca o S. Pietroburgo era quasi un sogno collettivo. Le grandi città erano sì lontane da un punto di vista chilometrico, ma lo erano soprattutto nella visione quotidiana della vita.

Nessuno in quel luogo sperduto era mai stato perseguitato, nessuno aveva conosciuto la schiavitù; si trattava di una zona protetta dagli Urali dove la cosiddetta civiltà, con i suoi misfatti, era solo un sentore lontano. In questa società intrisa di superstizioni contadine e di retorica cristiana ortodossa, avvenne il primo portento nella vita di Grigorij Rasputin.




 

La profezia

Un giorno, mentre giocavano sulle rive del fiume Tura, i due fratelli caddero in acqua. Non era periodo per i bagni ed entrambi, pur salvandosi dalle acque gelide, si ammalarono di polmonite.

Uno degli svantaggi di abitare in luoghi così veri, ma di conseguenza lontani dalla cosiddetta civiltà, era la mancanza di un medico raggiungibile in poco tempo. Dopo poco il fratello maggiore morì, mentre Grigorij si dibatté nell'abbraccio della morte per alcune settimane. Quando oramai si attendeva la sua dipartita come una liberazione dalla sofferenza, lui si sedette sul letto, arrotolato nelle coperte, e con voce fioca appena percettibile disse: “Sì, oh sì, lo voglio lo voglio.” Poi ricadde sul cuscino e si addormenta con aria placida.

Al suo risveglio sorrise ai genitori e a tutti gli abitanti del paese, che per settimane si erano radunati in preghiera dentro e fuori dalla sua casa. Si riprese sorprendentemente in fretta e, quando interrogato sul perché delle sue parole dal prete del villaggio, raccontò che una bella signora vestita di azzurro e bianco gli era apparsa in sogno e ordinandogli di guarire. Naturalmente, chi era lui per rifiutarsi? Il pope, presa la palla al balzo, sentenziò che la Vergine Maria aveva salvato il bambino per destinarlo a un glorioso destino e aggiunse: “Un giorno tornerà per dirti cosa si aspetta da te”.

Questa profezia scavò nelle viscere del giovane Rasputin, che cominciò a chiedersi perché la Santa Vergine avesse portato con sé il fratello lasciandolo solo e, soprattutto, perché non si fosse ancora rivelata per annunciargli il suo destino. Ne parlò con gli animali che accudiva, convinto che lo ascoltassero, ne discuté con se stesso, poi avvenne il secondo prodigio che avvalorò la profezia.

Rubarono dei cavalli a un suo vicino e lui, senza esitazione, indicò il luogo in cui erano tenuti e chi li aveva rubati. Questa manifestazione di veggenza si palesò altre volte e anche per altre questioni. Così, la profezia rinforzata dalle visioni fece accrescere la sua fama nella regione.

Le visite alla isba degli starec (monaci vagabondi) divenne quasi d'obbligo e il giovane Rasputin si sentì sempre più attratto dalla vita e dai racconti di quegli uomini solitari e apparentemente miserabili, che vivevano dell'elemosina del popolo e dei potenti.

Rimase affascinato dai loro racconti, dai monasteri che avevano visitato, dei santi eremiti con cui avevano digiunato per servire il Cristo, delle città che avevano vissuto dove dilagava la corruzione delle anime e dei corpi.

La profezia e le sue doti di veggente l'avevano convinto di non aver bisogno di nessuna istruzione per fare quel tipo di vita, perché proprio per quei motivi lui possedeva una scienza che gli era stata infusa dall'Altissimo.

 

Il pellegrinaggio

A 19 anni, con il permesso del padre e in preda a una crisi mistica, partì insieme a uno di questi starec, per poi continuare il suo pellegrinaggio da solo visitando eremi, santuari e monasteri della sua regione.

A una festa del monastero di Abalatsk la sua fede nella penitenza vacillò per la prima volta, lì conobbe la sua futura moglie, la sposò e come da tradizione la portò a casa. La sua vita di vagabondaggio da santone veggente proseguì, con il ritorno a casa nella stagione del raccolto.

Quando finalmente si sentì benedetto da Dio per la nascita di un figlio, ecco che la tragedia che cambierà la sua vita si abbatté su di lui: il neonato di sei mesi muore.

Questo immane lutto, ingiusto secondo lui visto il suo prodigarsi per la fede, lo condusse alla ribellione nei confronti del padreterno, si convertì all’alcool, alle donne e alle ruberie, fino a quando venne bandito dal villaggio.

Se ne andò dal paese quasi sollevato, senza collera, ricominciando i suoi vagabondaggi di preghiera, fino a quando incontrò un asceta, lo starec Makarij, e di nuovo la sua vita cambiò. Il sant'uomo lo istruì sulle scritture, ma soprattutto risvegliò il suo animo credente. Quando tornò a casa era un altro uomo.




 

Una nuova vita

Lo sguardo magnetico e sognante, la frenesia dei gesti e della preghiera, il battere sul petto intonando cantici sacri, lo posero in uno stato di irrequietezza che lo portò di nuovo al vagabondaggio religioso.

D'altronde, l'asceta Makarij gli aveva vaticinato che avrebbe trovato la salvezza nel vagabondaggio e così fece.

La sua irrefrenabile ricerca lo porterà sempre più lontano, fino al monte Athos in Grecia, e tornato in Russia visitò tutti i luoghi santi portando la sua fede e la sua veggenza, ritornando sempre a casa nel periodo estivo per partecipare ai lavori agricoli della comunità.

In questo periodo ebbe tre figli, Dimitrij, Matryona e Varvara nel 1900. Ma ciò che contava per Rasputin era solo diffondere la “luminosa certezza che dimora in lui”. Perciò, confortato dalla fama di veggente e guaritore, decise di mettersi in proprio. Prese in affitto una casa e la trasformò nella sua chiesa.

Le sue adunanze, che seguivano un rito “chlysty”, divennero sempre più affollate. Le riunioni si svolgevano anche alle terme, dove da flagellazioni leggere per stimolare la circolazione si passava a danze circolari e canti parossistici che sfociavano in vere e proprie orge.

La teoria era che il peccato andasse distrutto e redento attraverso il peccato, umiliandosi nel fango del peccato ci si elevava a Dio. La soddisfazione erotica rappresentava solamente un passaggio dall'umiliazione alla redenzione. Naturalmente, sia la Chiesa che lo Stato non approvarono e dopo vari processi Rasputin fu allontanato.

 

Dal popolo all’aristocrazia

Ora che abbiamo inquadrato l'ambiente culturale in cui operava la ricerca spirituale di Rasputin, non dobbiamo pensare che tutto ciò riguardasse solo il basso popolo. La sua fama di veggente e guaritore era oramai diffusa, fino ad arrivare attraverso varie avventure alla corte dello stesso zar, dove divenne in poco tempo, grazie alla zarina, l'eminenza grigia della corte.

Introdotto in quell'ambiente, ai massimi livelli dell'aristocrazia, operò guarigioni e vaticinii portentosi, fino a quello che lo consacrò al mondo europeo.

Il 2 ottobre 1912 lo zarevic Alessio, figlio di Nicola II e nato emofilico, ebbe un incidente che peggiorò improvvisamente senza che i medici accorsi al suo capezzale riuscissero a porvi rimedio. Una grave emorragia interna iliaca e lombare sembrava non lasciare scampo al giovane Alessio. Venne dunque convocato un famoso chirurgo ma per paura che l'ematoma peggiorasse la sua emofilia non lo operò. Il 10 ottobre il bambino ricevé la sacra unzione e sul punto di perdere conoscenza sussurrò alla madre:

Quando sarò morto innalzate per me un piccolo monumento nel parco!”

Abbandonata dai medici e dai sacerdoti, la zarina telegrafò a Rasputin: “Medici disperano, le vostre preghiere sono la nostra unica speranza”.

Rasputin ricevé il telegramma il giorno stesso, mentre pranzava insieme alla famiglia. Si alzò da tavola e invitò la figlia Matryona (chiamata Marija) a seguirlo nel salone, dove erano esposte le icone più sacre.

Lì, alla sua presenza, eseguirà un rito di guarigione che lui stesso definì:

“Il più difficile e misterioso di tutti i riti”.

 

Rasputin eseguì una magia telepatica, chiamata transfert del dolore e dalla malattia, una vera e propria pratica sciamanica appresa nei suoi pellegrinaggi giovanili presso i Buriati, gli Jacuti e i Kirghisi, ma arricchita e sommata per intero alla sua fede ortodossa.

Si tratta di liberare il bimbo dalla malattia prendendola su di sé agli occhi di Dio. È così che agiscono gli sciamani quando vogliono guarire un malato dalle sue sofferenze, che siano fisiche o dell'anima. Si sostituiscono a lui con il pensiero, si fanno carico del suo supplizio sostituendosi al suo “Io”, per poi restituirglielo a guarigione avvenuta.

E così fece. La figlia riferì di averlo visto prostrarsi a terra con il volto trasfigurato dall'estasi, ansimante e in preda a una sofferenza sovrannaturale. A certo punto, riferì sempre Marija, cadde all'indietro contorcendosi come se fosse in preda all'agonia e pensò che stesse per morire. Quando l'agonia finì era sera, gli offrì un tè, lui lo bevve sorridente e tornò in sé.

Alla fine di questa stregoneria mistico cristiana e pagana, telegrafò alla zarina:

La malattia non è grave come sembra.
Che i medici non lo facciano soffrire.”

 

Il giorno successivo, la febbre cominciò a calare e il grande ematoma a riassorbirsi, mentre l'emorragia si era fermata. Naturalmente, come sempre succede con qualsiasi scienza ufficiale, fu solo una coincidenza. Ricordiamo che il malato aveva già ricevuto l'estrema unzione: dopo c'è solo la morte. Oppure, in sub-ordine, avendo la zarina smesso di preoccuparsi dopo il telegramma di Rasputin, era venuta meno la tensione che impediva al ragazzo di guarire.

Così, sotto la protezione dello zar, Rasputin tornò in pompa magna a corte, ma né la Chiesa né le corporazioni che lo vedevano come un rivale smisero di contrastarlo.

Rasputin fu devoto a se stesso e allo zar fino alla morte.

 

 

Contenuto preparato in collaborazione con

BRAN

 

 

 

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